L’urgenza della transizione energetica ha reso sempre più centrale il dibattito sul nucleare: è davvero sostenibile o causa più problemi di quelli che risolve?
Quando si parla di energia pulita si pensa immediatamente a pannelli solari e fotovoltaici, turbine eoliche e persino impianti geotermici, non di certo al nucleare, la cui sostenibilità è ancora controversa. Eppure rappresenta la seconda fonte di elettricità a basse emissioni dopo l’idroelettrico. In Europa si tratta di un argomento divisivo, soprattutto da quando l’Unione ha proposto di inserirla all’interno della tassonomia UE per gli investimenti green. Dei 27 paesi membri, infatti, una metà la utilizza come fonte energetica, ospitando reattori sul proprio suolo, e l’altra metà no. Ma è corretto definire il nucleare sostenibile? E quali sono le sue prospettive?
Un bilancio sul nucleare
L’energia può essere definita “rinnovabile” se proviene da fonti che vengono costantemente ripristinate o reintegrate, come l’acqua per le dighe idroelettriche, la luce solare che riappare ogni giorno o il vento. L’energia nucleare non può perciò essere del tutto assimilata a questa definizione perché consuma “combustibile” radioattivo. Viene prodotta a partire dall’uranio, che, sebbene si trovi in tutti i continenti e in grande quantità, non è inesauribile e non viene ricostituito nelle miniere. È in particolare considerata un’energia fissile, cioè risultante dalla fissione di atomi all’interno di un reattore nucleare. Produce in tal modo una reazione a catena, che può essere utilizzata per alimentare continuamente la rete elettrica.
In termini di cambiamento climatico, però, la produzione di energia nucleare non rilascia gas serra, quindi può essere considerata a basse emissioni di carbonio. Per la precisione, si tratta della seconda fonte di elettricità “pulita” al mondo dopo l’energia idroelettrica. E rappresenta perciò una grande occasione per decarbonizzare il settore. Per molti ricercatori, anzi, è essenziale per aiutare i paesi a raggiungere la carbon neutrality entro i termini previsti. Non c’è infatti ancora abbastanza capacità di produzione di energia rinnovabile per soddisfare tutto il nostro fabbisogno. Inoltre, il nucleare presenta un ottimo rapporto tra la grande capacità produttiva e il basso consumo di suolo. Lo stesso non si può dire dei parchi eolici e degli impianti solari fotovoltaici, che per produrre la stessa quantità di energia avrebbero bisogno di molto più spazio.
Il fatto che il suo processo di produzione non generi gas serra, tuttavia, non significa che sia completamente pulita. Per esempio, produce rifiuti radioattivi costosi e complessi da smaltire. Devono infatti essere trasportati in sicurezza in depositi a lungo termine, dove non potranno essere toccati per decine di migliaia di anni, in attesa che non siano più un pericolo per la salute umana o per l’ambiente.
Vantaggi e svantaggi
Riassumendo, ecco i vantaggi principali che il nucleare porta con sé:
- consente di produrre energia continua, senza dipendere dalla disponibilità delle fonti naturali come accade con le rinnovabili
- consente di produrre grandi quantità energia a fronte di basse emissioni di carbonio
- l’uranio è riciclabile
- la produzione di energia nucleare non richiede consumo di suolo
- è un tassello importante per creare un sistema energetico resiliente basato sulla varietà di fonti di approvvigionamento
Ed ecco gli svantaggi principali:
- non è propriamente una fonte di energia rinnovabile
- produce rifiuti radioattivi complessi e costosi da gestire e che devono essere stoccati per decine di migliaia di anni
- i reattori nucleari sono ancora percepiti come pericolosi dall’opinione pubblica
Il nucleare sostenibile di quarta generazione
Oggi sono oltre 440 i reattori nucleari attivi e sono inoltre in costruzione 55 nuovi reattori, tra Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Francia. In Europa, dove sono operativi 103 reattori, l’opinione pubblica e la politica sono tutt’ora divise rispetto ai giudizi sull’indispensabilità e sulla sicurezza della produzione di energia nucleare. Ogni paese, infatti, grazie all’articolo 194 del trattato per il funzionamento dell’UE, può decidere autonomamente come comporre il proprio parco energetico e perciò quali fonti utilizzare.
Tuttavia, gli impianti di produzione devono rispettare gli standard di sicurezza fissati dall’Unione. Un aspetto primario quando si tratta di centrali nucleari, che sono quasi tutte di seconda generazione e rischiano di non risultare conformi con la legislazione europea. In ogni caso, l’Unione sembra propendere per l’intensificazione del suo utilizzo, dato l’inserimento nella tassonomia UE per gli investimenti green creata nell’ambito del pacchetto “Fit for 55”.
Il dibattito è dunque tanto politico quanto scientifico e viene sempre più spesso risolto con l’avvallamento del “nucleare di quarta generazione”, più sostenibile. Si tratta di una dicitura in realtà vaga, che si basa sull’anno di costruzione e sulla tecnologia utilizzata. Le centrali di seconda generazione sopra citate, per esempio, sono quelle costruite negli anni Sessanta e Settanta. Quelle di quarta generazione non esistono ancora e richiederanno molto tempo per essere costruite. Dal punto di vista tecnologico, dovranno essere più efficienti e più sicure. Più efficienti aumentando la capacità delle barre di uranio di alimentare la fissione, producendo più energia. Più sicure evitando lo spegnimento della reazione all’aumentare della sua velocità e soprattutto consentendo di confinare le scorie radioattive nel reattore in caso di emergenza.
Per accelerare la transizione alla quarta generazione si potrebbero costruire più rapidamente reattori modulari di piccole dimensioni (con potenza da 5 a 300 megawatt), utilizzabili anche per produrre idrogeno e calore. Rimangono in ogni caso diversi problemi da risolvere:
- la dubbia replicabilità su larga scala della soluzione
- le difficoltà nell’allestire la filiera di produzione, il trasporto e la logistica
- la gestione delle scorie radioattive
Il contributo che il nucleare può dare al raggiungimento dei target di decarbonizzazione, perciò, arriverà molto più verosimilmente dalle centrali già esistenti, di cui aumentare l’output energetico.