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giovedì 21 Novembre 2024

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Interfacce cervello-computer: la nuova tappa dell’evoluzione umana

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Presto sarà possibile controllare il mondo con il pensiero, grazie alle interfacce cervello-computer (BCI) o interfacce neurali.

Finora il dibattito sulla convivenza e la reciproca influenza tra macchine ed esseri umani si è soprattutto concentrato su una contrapposizione dei due poli. Ma la verità è che il futuro è molto più integrato di quanto pensiamo. In altre parole, presto la tecnologia sarà talmente pervasiva da fondersi direttamente con i nostri corpi grazie a interfacce cervello-computer, rendendo vetusta ogni contrapposizione. Non è uno scenario distopico da film, è un’evoluzione verosimile di un processo in atto da secoli.

Esseri umani e tecnologia convivono infatti già da molto tempo. Basti pensare a tutte le soluzioni inventate nel corso del tempo per potenziare funzioni corporee: una su tutte, gli occhiali da vista. Ma è evidente come con l’avvento dei computer e delle prime interfacce uomo-macchina (HMI) si siano aperte possibilità inedite. Come cambieranno il mondo e la nostra vita le interfacce cervello-computer?

Cosa sono le interfacce cervello-computer?

Un’interfaccia cervello-computer (BCI, Brain-Computer Interface), chiamata anche interfaccia cervello-macchina (BMI, Brain-Machine Interface) o interfaccia neurale, è un percorso di comunicazione diretta tra l’attività elettrica del cervello e un dispositivo esterno, come un computer o un arto robotico. In altre parole, mentre normalmente per attivare qualunque funzione di un computer è necessario attraversare le fasi del pensiero, dell’azione fisica e della conseguente risposta del dispositivo, in una BCI ogni ritardo si annulla: il pensiero è sufficiente a mettere in moto la tecnologia esterna, senza bisogno di schiacciare un tasto o di dare un comando vocale. Il concetto di interfaccia cervello-computer compare per la prima volta già negli anni ’70, nelle ricerche condotte da Jacques Vidal alla UCLA di Los Angeles. Allora iniziano anche le prime sperimentazioni in materia sugli animali, fino ad arrivare ai primi dispositivi impiantati nell’uomo negli anni ’90.

Spesso questo genere di interfaccia è impiegato per assistere, restaurare o potenziare funzioni cognitive o senso-motorie. E la sua invasività varia in base alla vicinanza degli elettrodi impiegati al tessuto cerebrale: più sono vicini, più la BCI è considerabile invasiva. Oggi le BCI aiutano dunque già chi non può compiere determinate azioni fisiche, consentendo di controllare con il pensiero – ovvero tramite impulsi elettrici – macchinari e strumenti informatici. Tra i risultati più straordinari c’è senza dubbio la possibilità di tornare a parlare, seppur attraverso un dispositivo esterno, di chi ha perso la capacità fisica di farlo.

Come funzionano?

Anche se il funzionamento delle neuroprotesi e in generale delle interfacce cervello-computer è naturalmente materia complessa, vale la pena di comprenderlo meglio per capire come potrà essere applicato in futuro. La modalità di azione delle BCI, infatti, potrebbe essere facilmente scambiata per telecinesi, se non avesse una precisa spiegazione scientifico-tecnica.

Il cervello umano trasmette segnali e informazioni sotto forma di impulsi elettrici, tramite gli assoni e i dendriti che collegano i neuroni. Le BCI intervengono leggendo questi segnali grazie all’impianto di elettrodi ed essi trasformano quanto compreso in informazioni digitali, a loro volta sciolte da algoritmi. Ecco il processo che consente di controllare con il pensiero tecnologie apposite, senza alcuna mediazione fisica.

Come ogni sistema composto da hardware e software, anche le interfacce cervello-computer potrebbero essere prese di mira da hacker. Più la nostra vita si digitalizza, infatti, più cresce la nostra vulnerabilità all’hacking, a virus informatici e a malware. Ma se un sistema digitale ha come protagonista il cervello, come accade con le BCI, il tema si fa più che centrale. A rischiare di essere hackerato o compromesso, infatti, in questo caso non sarebbe una qualunque tecnologia, ma l’essere umano stesso.

Quali sono le applicazioni delle BCI?

Come già detto, la maggiore applicazione delle BCI, ad oggi, è medico-riabilitativa. Le interfacce cervello-computer permettono infatti a chi ha una disabilità fisica di compensarla direttamente con il pensiero. Rimanendo in ambito medico, le interfacce potrebbero consentire di trattare malattie del cervello e del sistema nervoso oppure di prevedere e bloccare gli attacchi epilettici. Ma è evidente come gli utilizzi possano andare ben oltre, fino a investire il modo in cui l’essere umano interagirà con sé stesso, con gli altri e con l’ambiente in cui è inserito.

Tra gli sviluppi di cui si parla di più c’è sicuramente la possibilità di avere “a portata di cervello” tutta la conoscenza umana, che sarebbe conservata su un cloud cui accedere direttamente con il pensiero. Lo stesso vale per i ricordi: invece di affidarci alla nostra memoria, basterebbe che li registrassimo e li leggessimo all’occorrenza tramite l’IA. Sempre a proposito di memoria, le BCI potrebbero anche “semplicemente” potenziarla, nonché migliorare la nostra risposta agli stimoli. Un potenziamento che, scendendo nel particolare, torna utile anche in ambito gaming, per aumentare la velocità di reazione dei giocatori o per consentire di controllare direttamente i comandi con il pensiero.

Inoltre, le BCI potrebbero essere utili per monitorare il livello di concentrazione degli studenti e per individuare quelli con maggiori problemi di apprendimento. Quest’ultima applicazione dimostra in modo particolarmente evidente come i problemi da risolvere prima di rendere disponibili queste soluzioni non siano solo di natura tecnica, ma ancor di più etica. Non si tratta solo di proteggere le persone da attacchi hacker e virus. Si tratta anche di tutelare la loro privacy, la privatezza dei loro pensieri e dei loro ricordi.

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