La città del futuro è galleggiante, a impatto ambientale nullo e improntata alla condivisione.
Se il livello del mare si alza, le città sulle coste potrebbero trovarsi un giorno sommerse dall’acqua, a meno che non imparino a galleggiare. È proprio questo l’obiettivo, annunciato al termine della COP26 del novembre 2021, della partnership tra la città costiera di Busan (Corea), UN-Habitat delle Nazioni Unite e Oceanix: sviluppare il primo prototipo di città galleggiante, resiliente e in grado di svilupparsi all’infinito.
Le coste sono in pericolo
L’innalzamento del livello di mari e oceani, causato dallo scioglimento delle calotte polari in seguito al surriscaldamento globale, è una minaccia concreta per milioni di chilometri quadrati di coste in giro per il mondo. È ormai certo, infatti, che se anche raggiungessimo gli obiettivi ambientali al 2050 le temperature continuerebbero ad alzarsi per tutto il secolo. E poi i flussi continui di persone che si trasferiscono nelle città costiere sono un fattore destabilizzante. Provocano infatti l’espansione incontrollata dei centri urbani in paesaggi particolarmente delicati dal punto di vista ambientale.
Entro il 2050, perciò, 40mila chilometri di spiagge potrebbero scomparire a causa dell’innalzamento e delle acque e dell’aumento di eventi meteorologici estremi, almeno secondo il JRC (Join Research Centre) della Commissione Europea. È praticamente la metà dei litorali sabbiosi, che rappresentano un terzo del totale degli ecosistemi costieri. A farne le spese sarebbero soprattutto Le Americhe, la Cina e l’Australia. Ma anche il permafrost e la Russia non se la passano bene. Secondo uno studio dell’università statale di Mosca, ogni anno le sue coste artiche perdono 70 km2 di terreno.
Le città costiere saranno perciò grandemente influenzate da questi cambiamenti, perché diventerebbe pericoloso viverci. Se la temperatura globale dovesse aumentare di 3 gradi rispetto all’era preindustriale, secondo Climate Central, tra 50 anni finirebbero sottacqua oltre 800 milioni di persone. Ma basterebbe un aumento di 1,5 gradi a costringere 500 milioni di persone a trasferirsi altrove.
È arrivato perciò il momento di pensare a come convivere con questa prospettiva. E perciò di sviluppare prototipi di città e modelli di sviluppo urbano che si trovino a proprio agio con l’acqua.
Oceanix City, la città galleggiante
La città del futuro, progettata da BIG (Bjarke Ingels Group) in collaborazione con il MIT Center for Ocean Engineering e l’Explorers Club, è infatti un piccolo arcipelago di edifici e spazi verdi completamente galleggiante. Oceanix City ospiterà, su 75 ettari, 10mila persone, suddivise in 6 “villaggi” da 1650 abitanti, a loro volta divisi in 6 “quartieri” da 300 abitanti. Il quartiere che in ogni agglomerato darà sul centro della città, sarà destinato a funzioni sociali, ricreative o commerciali, tra sanità, istruzione, sport, cultura e shopping. Gli spostamenti tra piattaforme avverranno a piedi o in barca.
Si tratta di uno schema modulare scalabile, che potrebbe crescere e adattarsi all’infinito, ma sempre nell’ottica degli SDGs (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile). Oceanix è infatti autosufficiente da ogni punto di vista e non produce rifiuti. L’acqua verrà raccolta dal mare, dal cielo e dall’aria, l’energia verrà prodotta a partire da turbine eoliche, idrauliche e fotovoltaico. Per quanto riguarda il cibo, ogni agglomerato avvierà una propria coltivazione di ortaggi. L’obiettivo è duplice: assicurare indipendenza anche su scala minore e incoraggiare la cultura della condivisione.
Ma la città è anche resistente agli eventi climatici estremi, comprese inondazioni e uragani. Gli edifici non supereranno i 7 piani di altezza, per resistere al vento e abbassare il baricentro. Gli interni saranno ombreggiati dalla struttura stessa, mentre il tetto ospiterà i pannelli fotovoltaici. I materiali da costruzione saranno locali e con impronta di carbonio negativa, con una predilezione per legno e bambù. Le piattaforme modulari saranno realizzate sulla costa, per minimizzare i costi di costruzione. Per evitare che la città vada alla deriva, infine, ogni isoletta sarà ancorata al fondo grazie al biorock. Si tratta infatti di un eco-materiale che produce calcare a partire da stimolazioni elettriche e che è, tra l’altro, utilizzato oggi per favorire la rigenerazione delle barriere coralline.
«Le città galleggianti sostenibili fanno parte dell’arsenale di strategie di adattamento climatico a nostra disposizione», ha sottolineato Maimunah Mohd Sharif, direttore esecutivo di UN-Habitat. «Invece di combattere con l’acqua, impariamo a vivere in armonia con essa. Non vediamo l’ora di sviluppare l’adattamento climatico e soluzioni basate sulla natura attraverso il concetto di città galleggiante, e Busan è la scelta ideale per implementare il prototipo».