Il regolamento condominiale può prevedere il parere vincolante dell’assemblea per il compimento delle opere sulle unità privata dei condomini
La Corte di Cassazione interviene con la sentenza n. 37852/2022 in materia di interventi programmati da un condomino alla propria unità, per le quali era richiesto dal regolamento convenzionale il parere preventivo dell’assemblea.
In particolare, la Suprema Corte pronuncia il seguente principio: “allorchè una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condomini a richiedere il parere vincolante della assemblea per l’esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, la deliberazione che deneghi al singolo partecipante il consenso all’ intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo della estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell’autorità giudiziaria, agli effetti dell’art. 1137 c.c., soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera”.
Nel caso di specie il condomino aveva impugnato la delibera assembleare che gli negava la possibilità di compiere un ampliamento della sua unità immobiliare, in quanto l’assemblea a maggioranza non approvava il progetto, ritenendolo troppo invasivo per l’estetica e il decoro dell’edificio, un condominio orizzontale.
Dopo i primi due gradi di giudizio, ove veniva espresso un orientamento decisionale omogeneo che, senza entrare nel dettaglio, interpretava la norma regolamentare che stabiliva: “i condomini si obbligano reciprocamente a richiedere il parere vincolante della assemblea per i lavori da svolgere nelle parti private che riguardano la facciata dell’edificio e le parti esterne che concorrono all’estetica ed al decoro dell’intero immobile“, come “un onere di informativa preventiva degli interventi all’assemblea il cui parere vincolante non può… risolversi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli basato esclusivamente su una mera valutazione di gradimento personale senza alcuna espressa motivazione dalla quale si possa desumere quale sia la ritenuta lesione al decoro architettonico vietata ai sensi di legge“, il Condominio proponeva ricorso in Cassazione ritenendo violati e non applicati gli artt. 1362 c.c. (intenzione dei contraenti – interpretazione del contratto), 1322 c.c. (autonomia contrattuale) e 1372 c.c. (efficacia del contratto).
È noto come l’art. 1102 c.c. preveda che il singolo condomino, nel proprio interesse e a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, possa apportare modifiche al bene comune purché non venga alterata la destinazione e non venga impedito l’altrui pari uso. Detto intervento non richiede alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’ interesse comune mediante esercizio dell’autonomia privata (Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509). Il condomino che intenda, quindi, procedere ad una modificazione delle parti comuni, in assenza di obbligo di preventiva autorizzazione assembleare imposto per contratto, non ha dunque neppure interesse ad agire per l’impugnazione della delibera dell’assemblea che abbia espresso un parere contrario all’ intervento, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio e limite ai suoi diritti.
Ed ancora, l’art. 1122 c.c., sia nella formulazione previgente alla riforma della materia del Condominio che nella formulazione attuale, fa divieto al singolo condomino di eseguire nell’unità immobiliare di propria proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico. L’art. 1122 c.c., comma 2, dispone che il condomino che intenda procedere ad opere su parti di sua proprietà o uso individuale ne dia preventiva notizia all’amministratore, il quale può così riferirne in assemblea affinché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l’integrità delle cose comuni.
V’è da segnalare, inoltre, l’ipotesi della possibilità di imporre, tramite una convenzione in sede di regolamento di condominio, il consenso dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell’edificio. È la stessa giurisprudenza a riconoscere all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà, ovvero che impongano un significato più rigoroso alla definizione di decoro architettonico accolta dagli artt. 1120 e 1122 c.c., e supposta dal medesimo art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio. Ne consegue che i singoli condomini non possano sottrarsi all’obbligo derivante dalle disposizioni del regolamento, di carattere negoziale, che impongano di richiedere la preventiva autorizzazione dell’assemblea per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509; Cass. Sez. 2, 02/05/1975, n. 1680; Cass. Sez. 2, 29/04/2005, n. 8883; Cass. Sez. 2, 24/01/2013, n. 1748; Cass. Sez. 2, 19/12/2017, n. 30528 ; Cass. Sez. 6 – 2, 18/11/2019, n. 29924; Cass. Sez. 6 – 2, 16/02/2021, n. 4024; Cass. Sez. 2, 08/07/2021, n. 19435; Cass. Sez. 6 – 2, 08/04/2022, n. 11502).
I giudici di merito hanno, pertanto, errato nell’affermare che la norma del regolamento del Condominio, non configurasse “alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell’art. 1122 c.c.“, né tantomeno sancisse “pattiziamente un divieto di eseguire sulle parti private una qualsiasi opera modificativa“.
La Suprema Corte, quindi, giunge alla conclusione che i giudici del merito non hanno fatto corretto uso dell’art. 1362 c.c., 1 comma, in quanto “qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile” (Cass. Sez. 3, 27/07/2001, n. 10290; Cass. Sez. 2, 22/08/2019, n. 21576).
Alla luce del contenuto letterale della norma del regolamento del Condominio che legittimava l’esecuzione individuale di opere che incidano sulla facciata o comunque sull’aspetto esteriore del fabbricato al parere vincolante della assemblea, per gli ermellini la delibera impugnata non risultava ex se contraria né alla legge né al regolamento.
A conclusione, si deve precisare che, in casi similari, è innegabile che il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non possa estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea dei condomini, a fronte, come nel caso in esame, di una deliberazione che opponga un veto alle opere che voglia realizzare il singolo condomino, ritenendole lesive del decoro architettonico. Tuttavia, la verifica di legittimità postulata dall’art. 1137 c.c., non esclude, peraltro, la necessità di un accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione dell’assemblea, costituendo tale accertamento (cui dovrà perciò provvedersi in sede di rinvio) il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge.