In Italia come nel resto d’Europa crescere il desiderio di case e uffici adatti alla post pandemia
La ricerca pubbicata da Arup, società di ingegneria internazionale, condotta su 5mila residenti a Milano, rileva che il 39% degli intervistati pensa che dopo l’esperienza del lockdown le proprie case non corrispondano più alle loro necessità e vorrebbe trasferirsi.
Con percentuali molto simili, lo stesso sondaggio realizzato a Berlino, Londra, Madrid e Parigi ha confermato la diffusione di questa opinione tra i residenti delle grandi città: le case non sono e non saranno mai più considerate solo “spazi dormitorio”.
Dall’inizio della pandemia il Mondo ha assistito ad una progressiva ma inesorabile trasformazione di tutti gli spazi di casa: cucine, salotti e camere da letto, cioè i luoghi in cui vengono assolte le funzioni del mangiare, del riposarsi, del dormire, del vestirsi.
Sono cambiati anche gli spazi pubblici e di lavoro: uffici virtuali (smart working), scuole (e-learning), palestre, spazi di approvvigionamento attraverso gli acquisti (e-commerce).
Tante attività che normalmente venivano svolte all’esterno, adesso sono state ricondotte agli spazi domestici (condivisi spesso con altre persone nella medesima situazione).
Ciò ha reso evidente che la maggior parte delle case non incoraggia e avvalora la nostra nuova quotidianità, in cui è diventato primario garantirsi del benessere.
Spazi rivalutati
La pandemia ha effettivamente insegnato alle persone l’importanza di balconi, terrazzi, cortili e giardini condominiali e di tutti gli spazi intermedi che precedentemente venivano considerati rinunciabili.
Su La Repubblica Fabrizio Tucci, Docente universitario della Sapienza Università di Roma e Coordinatore del Gruppo internazionale degli esperti del Green City Network ha dichirato:
“Gli spazi fisici sono l’espressione della gente. Se le abitudini e le esigenze delle persone mutano, cambiano anche gli spazi. Inevitabilmente. E viceversa, se noi progettisti indirizziamo opportunamente tale cambiamento possiamo incidere profondamente su un miglioramento della vita delle persone e dell’ambiente”.
In questo anno di convivenza con la pandemia, molte sono le idee di ricercatori ed esperti di architettura, design e urbanistica che si sono fatte strada in risposta alle nuove necessità, al desiderio di benessere individuale e collettivo.
Esigenze plurifunzionali delle case
All’interno del Dossier ‘Pandemia e sfide green del nostro tempo’, redatto da Green city network assieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile di Edo Ronchi, Tucci interviene ancora sostenendo che:
“Potremmo vivere questo incredibile periodo di forzata sperimentazione collettiva come occasione da cogliere per decidere di produrre nuove forme e nuovi spazi dell’Abitare, migliori per la collettività, più giusti e più inclusivi per le fasce più deboli, e più in linea con gli obiettivi propri di quello che definiamo green city approach”.
Una prima risposta convincente alle nuove esigenze plurifunzionali delle case è quella di pensare di implementare gli alloggi con un surplus di “dotazioni” degli spazi.
Questi dovranno essere messi in connession con gli ambienti caratterizzati dalle originarie funzioni tradizionali: zona giorno, zona notte, zone di servizio, ecc.. .
Questo perchè:
“perché difficilmente si potrà rimanere ancorati ai 9mq dello spazio singolo e ai 14mq della camera doppia”.
La seconda risposta risponde a possibili complicazioni che posso sorgere con questo genere di implementazione degli spazi e fa riferimento all’ideazione e progettazione di un’architettura modulabile.
Questo tipo di architettuta potrebbe permettere il cambiamento delle configurazioni in tempo reale, a seconda degli usi e delle funzioni, direttamente da parte dell’utente.
Nuove modalità di lavoro
Prima dell’emergenza coronavirus, la sostituzione del concetto di “presenza in sede” per favorire il lavorare da remoto rappresentava un obiettivo secondario per molte attività italiane.
Tuttavia la riduzione degli spostamenti da una zona all’altra della città e dei pendolarismi, ha accelerato un importante cambiamento filosofico della concezione del lavoro.
Si prevede che, anche dopo la fine della pandemia, una percentuale considerevole di attività adotterà permanentemente la modalità smart working per i propri dipendenti.
Il benessere derivato dal lavorare da casa, infatti, non solo è capace di mantenere il talento e il rendimento ma anche di accrescerli.
Riflettendo su questo, un dipendente che svolge il proprio lavoro da remoto può facilmente rinunciare all’acquisto di una casa all’interno di un centro urbano, Milano per esempio, dove i prezzi attualmente non danno segni di abbassarsi e trasferirsi fuori città in una casa spaziosa con giardino.
Progetti e scenari futuri
Per un ripensamento efficace degli edifici di nuova realizzazione e dei quartieri, Stefano Recalcati, Associate Director di Arup Italia, propone di seguire tre punti:
- la creazione di aree interne ad uso comune per promuovere forme di coworking e svago
- un riadattamento dei piani terra per l’incremento dei fronti attivi in cui inserire i servizi per la collettività
- la promozione di eventi e spazi nelle comunità di quartiere per dar forma ad un maggiore senso di identità.
Progetti e idee che perseguono l’obiettivo di un netto miglioramento della vita lavorativa sono pensati e rivolti anche ai dipendenti che continueranno a lavorare nelle sedi.
All’interno di un articolo pubblicato su Il Sole 24ORE l’architetto Giuseppe Tortato ha infatti dichiarato che:
“è urgente prevedere delle porzioni di verde nella progettazione dei nuovi uffici e nella riqualificazione di quelli esistenti, gli spazi lavorativi devono essere il più possibile permeabili, gli ambienti in generale – dice – devono essere adattabili al cambiamento”.
Nonostante lo scenario immobiliare richiederà tempi decisamente più lunghi rispetto a quelli che sono trascorsi dall’inizio della pandemia per poter arrivare a delle conclusioni definitive, il dibattito sull’improrogabilità di un cambiamento è quanto mai acceso.
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