Il 2050, anno chiave per il raggiungimento della neutralità climatica, è sempre più vicino. A che punto è l’Italia nel processo di decarbonizzazione dei consumi?
La transizione verso una società climaticamente neutra non è soltanto un’opportunità per costruire un futuro migliore per tutti. È una sfida urgente e determinante per la nostra sopravvivenza. Dall’energia all’industria, dalla mobilità all’edilizia, dall’agricoltura alla silvicoltura, dagli enti pubblici alle imprese ai cittadini: ognuno dovrà impegnarsi per quanto gli compete a favore della decarbonizzazione.
L’UE, dal canto suo, ha il compito di accelerare e uniformare il processo di transizione. Per farlo deve fornire un quadro normativo, responsabilizzare i cittadini e allineare l’azione climatica – soprattutto in settori chiave come la politica industriale, la finanza e la ricerca -, ma anche garantire nel contempo l’equità sociale per una transizione giusta. Quali sono gli obiettivi dell’Europa quanto alla decarbonizzazione? E a che punto è l’Italia nella transizione?
Gli obiettivi UE di decarbonizzazione
L’Unione Europea mira a essere climaticamente neutra entro il 2050 ovvero a completare entro metà secolo la transizione ecologica dell’economia, di modo che le sue emissioni nette di gas serra risultino pari a zero. Questo obiettivo è al centro del Green Deal Europeo e naturalmente in linea con l’impegno assunto dall’UE nell’ambito dell’accordo di Parigi del 12 dicembre 2015, in vista del contenimento entro i 2 gradi – o, ancor meglio entro 1,5 gradi – dell’aumento della temperatura media globale.
Per raggiungere tali obiettivi di decarbonizzazione, le emissioni devono naturalmente essere ridotte in tutti i settori e in particolare nell’energetico. Quest’ultimo sarà protagonista di una macro-transizione verso le rinnovabili che farà da traino per tutti gli altri settori, a base di mobilità sostenibile, efficienza, comunità energetiche, infrastrutture di rete moderne e economia circolare.
Per rendere l’obiettivo di carbon neutrality giuridicamente vincolante, inoltre, la Commissione europea ha proposto il 4 marzo 2020 la European Climate Law. Una risoluzione che trasforma il target in legge e fissa anche un nuovo e più ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni nette di gas serra di almeno -55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.
Parallelamente alle azioni di riduzione delle emissioni con l’obiettivo ultimo di invertire il cambiamento climatico, l’UE sta intraprendendo anche azioni di adattamento climatico, per far fronte alle inevitabili conseguenze dei danni commessi.
Le strategie nazionali
La European Climate Law implica anche che tutti gli stati membri debbano sviluppare road map nazionali. I paesi UE devono perciò spiegare come hanno intenzione di raggiungere gli obiettivi climatici e dimostrare di volere e potere davvero rispettare gli impegni. Il cambiamento climatico infatti è una minaccia globale e può essere affrontato solo con una risposta unitaria. A tal proposito, le strategie nazionali a lungo termine e la strategia dell’UE devono comprendere, con una prospettiva di almeno 30 anni:
- l’abbattimento delle emissioni di gas serra e il potenziamento del loro assorbimento da parte dei serbatoi di carbonio
- la riduzione delle emissioni e il potenziamento del loro assorbimento nell’ambito dei singoli settori
- i progressi che si prevede di ottenere nella transizione verso un’economia a basse emissioni di gas serra, compresa la carbon intensity del PIL, le relative stime degli investimenti a lungo termine e le strategie per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione correlati
- l’effetto socioeconomico delle misure di decarbonizzazione
- collegamenti ad altri obiettivi nazionali a lungo termine e ad altre politiche, misure e investimenti
A che punto è l’Italia?
Secondo il rapporto 2021 di Italy for Climate, nel 2020 l’Italia ha registrato il taglio delle emissioni più consistente mai registrato negli ultimi decenni: -9%. Si è trattata tuttavia di una riduzione contingente legata alla pandemia e non strutturale, tanto che nel 2021 le emissioni sono di nuovo aumentate. Sempre nel 2020 inoltre, le rinnovabili sono arretrate di circa 400 tonnellate equivalenti di petrolio. Un dato molto preoccupante nella prospettiva del raggiungimento degli obiettivi climatici. Anche nel 2021 i nuovi impianti eolici e fotovoltaici installati si sono fermati a 1,4 milioni di kW di potenza. Per tenere il passo con la decarbonizzazione dovrebbero invece essere installati almeno 8GW rinnovabili l’anno.
L’industria in Italia è il primo settore per emissioni, che corrispondono a più di un terzo del totale. Ciò nonostante dal 1990 siano diminuite del 36% a causa del calo della produzione industriale e grazie al miglioramento del mix energetico e dell’efficienza (-28% di consumi e +40% di elettrificazione). Segue l’edilizia, con emissioni diminuite soltanto dell’11% rispetto al 1990. Figura inoltre al primo posto per consumo di energia (44% del totale nazionale), ma ha anche la quota più alta di rinnovabili (28% dei consumi). E poi i trasporti, i cui consumi ed emissioni sono addirittura cresciuti dal 1990 a oggi a causa della pervasività dei combustibili fossili. Chiude l’agricoltura, che ha ridotto le sue emissioni del 17%.
Concentrandoci invece sull’elettricità, motore della transizione energetica, le emissioni di anidride carbonica derivanti dal consumo di 1 kWh si sono dimezzate. Un risultato possibile grazie alla crescita delle rinnovabili (39% del fabbisogno) e al miglioramento del mix fossile (più gas e meno carbone e petrolio).
Quello italiano è perciò un quadro complessivamente poco rassicurante, con un tasso di decarbonizzazione non sufficiente a raggiungere per tempo gli obiettivi europei. Eppure la ricetta è chiara: aumentare l’efficienza e ridurre i consumi energetici, di materie prime e di suolo, elettrificare i trasporti e la climatizzazione e naturalmente aumentare la capacità delle rinnovabili, per le quali, nonostante le potenzialità di una terra ricca di sole e di vento come l’Italia, siamo agli ultimi posti in classifica.