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lunedì 23 Settembre 2024

Dalle microplastiche alla bioedilizia

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Le microplastiche possono trasformarsi in qualcosa di utile? 

A quanto pare sì. 

A confermarlo è un’invenzione del ricercatore Marco Caniato, della Facoltà di Scienze e Tecnologie (Unibz), che ha dato un importante contributo alla lotta contro le microplastiche.

Un biopolimero ricavato dalla lavorazione delle alghe rosse permette infatti di sfruttare materiali plastici o inerti di altro genere per realizzare una schiuma adatta all’isolamento acustico e termico delle abitazioni, evitandone la dispersione nell’ambiente marino. 

 

L’invenzione

Marco Caniato, in collaborazione con l’Università di Trieste ha impiegato

un estratto dell’alga agar agar, un polisaccaride normalmente usato come gelificante naturale della consistenza di un gel che dopo essere stato addizionato con carbonato di calcio può essere mescolato alla plastica polverizzata. Come materiali rappresentativi delle microplastiche che più comunemente si trovano in ambiente marino, sono state utilizzate materie plastiche derivate dai rifiuti industriali e domestici (polietilene, bottiglie di tereftalato, polistirolo espanso e schiumato)spiegano dall’Università di Bolzano.

Dopo la gelificazione, i campioni vengono congelati a -20 °C per 12 ore e infine liofilizzati per rimuovere l’acqua. Il risultato finale è un materiale poroso che può essere utilizzato, ad esempio, al posto della lana di roccia. Ma non è solo il prodotto ad essere eco-compatibile. Il processo di realizzazione prevede infatti il riciclo dell’acqua che viene raccolta al termine della liofilizzazione, dopo lo scongelamento. In precedenza altri scienziati avevano scovato metodi innovativi di riutilizzo dei rifiuti”.

Per esempio, la polvere di vetro era stata usata come riempitivo per il calcestruzzo. Altri avevano proposto di usare i rifiuti plastici come riempitivi per le miscele di asfalto. Ma nessuno prima d’ora aveva pensato a come riciclare le plastiche che galleggiano sulle superfici dei nostri mari. Infatti è piuttosto difficile riciclare i rifiuti marini di plastica in tale modo, perché sono spesso accoppiati con altri materiali plastici (o non plastici) e ricoperti di sale marino” concludono dall’Unibz.

Lo studio che ha condotto a questa invenzione tutta italiana, dal titolo Acoustic and thermal characterization of a novel sustainable material incorporating recycled microplastic waste è stato pubblicato su Sustainable Materials and Technologies a firma di Marco Caniato e Andrea Gasparella della Facoltà di scienze e tecnologie della Libera Università di Bolzano (Unibz) e Luca Cozzarini e Chiara Schmid del Dipartimento di ingegneria dell’università di Trieste.

Adatto all’ uso civile, industriale e marittimo, le richieste per il nuovo biopolimero – che permette di riciclare i rifiuti marini offrendo un materiale edile ecologico ed economico – fioccano da tutto il mondo.

Le prove di caratterizzazione che abbiamo condotto hanno confermato che il prodotto possiede ottime proprietà isolanti e che può facilmente competere con gli isolanti tradizionali come la lana di roccia o le schiume poliuretaniche”, afferma Caniato, “abbiamo dimostrato che un approccio sostenibile, più pulito ed ecologico, può essere usato per riciclare i rifiuti marini e per costruire con un materiale ecologicamente ed economicamente conveniente”, si legge in una nota dell’Università.

 

Microplastiche, cosa sono?

Le microplastiche sono particelle in materiale plastico molto pericolose soprattutto per l’inquinamento di mari e oceani. Il nome è legato alle loro dimensioni comprese tra gli 0,33 e i 5 mm. La pericolosità per la salute di animali e uomini è stata dimostrata in diversi studi di carattere scientifico perché contaminano spesso habitat naturali di animali acquatici e marini che, a loro volta, vengono mangiati dall’uomo. L’avvento delle microplastiche deriva dal fatto che la plastica degrada molto lentamente, sciogliendosi in centinaia di anni e trasformandosi in particelle microscopiche facilmente ingeribili da pesci ed altri organismi.

Le microplastiche si suddividono in primarie e secondarie:

  • Le microplastiche primarie sono particelle di plastica fabbricate intenzionalmente come tali e aggiunte ad alcuni prodotti (come i granuli abrasivi nei cosmetici). 
  • Le microplastiche secondarie si formano durante l’uso e lo smaltimento di prodotti in plastica (p. es. abrasione degli pneumatici o cascame di abrasione durante il lavaggio dei tessuti sintetici) oppure in fase di decomposizione delle macroplastiche in microplastiche.

 

Più microplastiche che stelle

Le microplastiche secondarie, ovvero i frammenti di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm che derivano dall’utilizzo e dall’abbandono di oggetti come buste o bottiglie di plastica, rappresentano circa il 68 – 81% delle microplastiche presenti negli oceani. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato la presenza di 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari della Terra: “500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia”. In tutto il mondo, i mari sono stati descritti come una delle aree più inquinate da micro e macroplastiche. Di conseguenza il trattamento e la gestione del ciclo di vita dei materiali plastici si sono trasformati in un problema enorme la cui mancanza di soluzione minaccia la biodiversità marina e la sopravvivenza di moltissime specie ittiche. Senza considerare che ancora non si conoscono con esattezza i pericoli per l’uomo derivanti dall’ingresso di questi minuscoli frammenti di plastica nella catena alimentare.

Microplastiche e alghe sono dunque tra i grandi problemi dei nostri mari aggrediti dal surriscaldamento climatico e dalla insostenibile produzione industriale, ma questa invenzione potrà fornire la soluzione ottimale per fare di una piaga, un’occasione per rivoluzionare il nostro Pianeta. 

 


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