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giovedì 21 Novembre 2024

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La tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio 

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Tra le numerose funzioni che il legislatore ha conferito all’amministratore di condominio v’è anche quella di compiere tutti quegli atti che sono finalizzati alla conservazione delle parti comuni. A tal fine, l’art. 1130 c.c. attribuisce all’amministratore la facoltà di compiere detti atti conservativi senza l’autorizzazione dell’assemblea. 

Nonostante detta regola, tuttavia, persistono numerose difficoltà nell’individuazione di quali azioni rientrino nell’alveo del suddetto articolo e quali necessitino, invece, dell’autorizzazione assembleare. Pertanto, ci si chiede quando è necessaria la ratifica dell’assemblea condominiale ovvero quando, invece, l’amministratore può agire liberamente? 

La giurisprudenza di merito e in particolare la Corte di Cassazione, anche con la sentenza n. 4818/2024, ha fornito una risposta ai suddetti interrogativi. 

La vicenda 

La vertenza traeva origine dalle delibere assunte dall’assemblea condominiale, costituita con soli 456,36 millesimi, con le quali venivano assunte una serie di decisioni, tra queste quelle di instaurare alcuni giudizi – di rivalsa verso l’assicurazione condominiale, una domanda basata sul vincolo di destinazione della casa del portiere ed una actio negatoria servitutis -, senza che fosse stata rispettata la maggioranza dell’art. 1136 comma 2 cod. civ., ovvero la maggioranza degli intervenuti e metà del valore dell’edificio. Alcuni condomini, quindi, impugnavano le delibere, ritenendo che l’assemblea non fosse stata costituita regolarmente e non rientrasse tra i poteri dell’amministratore, quello di attuare azioni reali senza il consenso dell’assemblea.  

A seguito di due gradi di giudizio, i condomini risultavano tuttavia soccombenti e, al fine di derimere definitivamente la questione, adivano la Suprema Corte, la quale, prima di enunciare il principio di diritto, andava ad analizzare, caso per caso, se i poteri esercitati dall’amministratore potessero essere considerati azioni volte alla conservazione delle parti comuni. 

I principi enunciati dalla Corte di Cassazione 

Gli Ermellini andavano diligentemente ad analizzare il comportamento tenuto dall’amministratore e non rilevavano alcuna criticità con riferimento alla delibera che lo autorizzava ad attivare l’azione di rivalsa del Condominio nei confronti dell’assicurazione, in quanto detta condotta viene considerata un comportamento rientrante nella fattispecie di cui all’art. 1130 c.c. Di conseguenza, in tal caso, non vi è ragione per interrogarsi su quale maggioranza fosse necessaria ai fini della validità della delibera, in quanto si trattava di causa che non esorbitava dalle attribuzioni dell’amministratore. 

Quanto, invece, all’esercizio di un actio negatoria servitutis, v’è giurisprudenza granitica da cui si ricava che detta tipologia di azione esuli dalle normali attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c., essendo la medesima volta ad ottenere statuizioni relative alla titolarità su cose o parti dell’edificio, con conseguente necessità dell’autorizzazione dell’assemblea. 

Gli Ermellini giungono, quindi, a formulare il seguente principio di diritto: 

in tema di condominio di edifici, le azioni reali, come l’actio negatoria servitutis, siano esse indirizzate contro i condomini, o contro i terzi, essendo dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto, o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio, possono essere esperite dall’amministratore solo previa autorizzazione dell’assemblea, esulando dalle normali attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 comma primo n. 4) cod. civ. 

Le conclusioni 

Alla luce delle suddette considerazioni, la Suprema Corte ha voluto evidenziare che le azioni reali, indipendentemente che esse siano indirizzate verso i condomini ovvero verso terzi, esulano dalle normali azioni di conservazione delle parti comuni; pertanto, in questi casi, si rende necessaria l’autorizzazione dell’assemblea. 

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