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martedì 3 Dicembre 2024

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CCS: l’alleata più preziosa nella lotta al cambiamento climatico

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La CCS comprende le più moderne soluzioni di prelievo e stoccaggio permanente dell’anidride carbonica. Ma in cosa consiste esattamente?

Un nuovo maggio da record per la concentrazione di anidride carbonica nell’aria potrebbe attenderci in questo 2022, dopo che a maggio 2021 i laboratori del NOAA a Mauna Loa ne avevano rilevate 419 ppm. Il numero indica la quantità di molecole di CO2 presenti nell’atmosfera per ogni milione di particelle e da 30 anni è in rapidissimo aumento. Data l’influenza dell’anidride carbonica sul clima, sarà perciò necessario trovare presto un modo per catturarla e stoccarla in modo permanente, mentre si lavora per diminuirne le emissioni. Un’operazione che la CCS (Capture Carbon and Storage) promette di condurre al meglio.

I due piani di azione – l’assorbimento della CO2 e il controllo delle sue emissioni – dovranno procedere di pari passo se non vogliamo mancare gli obiettivi internazionali di contenimento del cambiamento climatico. Le previsioni sull’andamento delle emissioni di anidride carbonica, infatti, non sono rosee. Con l’aumento della domanda mondiale di energia, che nel 2035 sarà superiore del 30% rispetto al 2008, aumenterà anche la produzione annua di CO2, dai 29,3 miliardi di tonnellate del 2008 ai 35 del 2035. Ciò accadrà perché, sempre secondo le stime, allora i combustibili fossili copriranno ancora il 70% del fabbisogno energetico.

Maggio è il mese di riferimento per la misurazione perché in genere rappresenta il momento dell’anno con la più alta concentrazione di CO2, appena prima dell’esplosione della crescita della vegetazione, che aumenterà le capacità del pianeta di assorbirla. Ed è altamente probabile che a maggio 2035 le sue ppm saranno 650, con un aumento della temperatura globale di 3,5°. Praticamente una catastrofe, cui potrebbe però porre rimedio proprio la CCS.

 

Cos’è la CCS?

La AIE è convinta che non esista un’altra via per il raggiungimento degli obiettivi al 2050, se non quella che prevede la CCS. Per questo sta invitando i governi ad avviare o a intensificare la ricerca sul tema, in tempo per non far precipitare la situazione. La Carbon Capture and Storage (“cattura e sequestro del carbonio”) consiste infatti nel contenimento geologico della CO2 prelevata dagli scarichi di centrali e industrie con impianti a combustione. Il diossido di carbonio emesso conseguentemente alle loro attività verrebbe così stoccato nelle profondità del suolo, ad almeno 1000 metri sotto la superficie terrestre.

Ma come e in che misura può essere catturata la CO2? Le tecniche di CCS sono in grado di prelevarla in diverse modalità a seconda del momento in cui entrano in funzione:

  • prima della combustione, trasformando il combustibile in una miscela di idrogeno e anidride carbonica e prelevando quest’ultima
  • dopo la combustione, assorbita da un solvente a partire dai fumi esausti oppure filtrata o ancora estratta tramite separazione criogenica
  • durante la combustione in ossigeno, utilizzando ossigeno in camera di combustione per produrre vapore e CO2 concentrata

L’anidride carbonica recuperata è poi destinata allo stoccaggio geologico in un sito di confinamento adatto allo scopo, senza il rischio che torni a intossicare l’atmosfera. In tal modo, secondo le stime, sarà possibile rimuoverne dall’atmosfera il 13%. Certo, l’anidride carbonica potrebbe anche essere riutilizzata al pari di un rifiuto destinato al riciclo, per esempio per produrre materiali da costruzione, prodotti chimici o persino carburanti. Ma il modo più sicuro e performante per toglierla dalla circolazione è proprio il sequestro sotto terra.

 

La CCS alla prova

Protagonista di uno dei primi grandi esperimenti CCS è ENI, che con ENI UK dirigerà un Consorzio destinato a sviluppare il progetto HyNet contestualmente alla gara indetta dal governo britannico “Cluster Sequencing for Carbon Capture Usage and Storage Deployment: Phase 1”. Il progetto verrà avviato entro il 2025 e darà vita a una delle prime infrastrutture di CCS in Gran Bretagna. ENI, in particolare, si occuperà del trasporto e dello stoccaggio del diossido di carbonio nei propri giacimenti di gas depletati nella Baia di Liverpool.

Intanto, ENI definirà insieme al governo un modello di business per gestire infrastrutture destinate a trasporto e stoccaggio di CO2, offrendole alle aziende interessate. La scelta di investire in questo progetto «dimostra nuovamente come la tecnologia relativa alla cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2 sia riconosciuta come sicura ed efficace, oltre che immediatamente disponibile, e vada ad abbattere le emissioni di quei settori di attività che non hanno alternative tecnologiche per avviare la loro transizione energetica», sottolinea Claudio Descalzi, l’Amministratore Delegato di ENI.

 

Le tecnologie della natura

Ferma restando la necessità dei progressi della tecnica, anche e soprattutto in ottica di contrasto al cambiamento climatico, troppo spesso dimentichiamo che in realtà la natura possiede già tutte le “tecnologie” necessarie a riportare equilibrio nell’atmosfera. E che basterebbe perciò smettere di insidiarle e imparare a tutelarle per assicurare la prosecuzione della vita sulla terra. Stiamo parlando degli alberi, delle acque e del suolo fertile, i depuratori naturali dell’aria.

Gli oceani stanno, per esempio, dando un notevole contributo alla lotta al cambiamento climatico, assorbendo annualmente il 30% delle emissioni antropiche di CO2. Una percentuale che potrebbe aumentare se si trovassero soluzioni per aumentarne la capacità di stoccaggio. Tra le altre, la coltivazione di determinate specie di alghe oppure l’elettrificazione e l’aggiunta di minerali, che rendono l’acqua più alcalina, preservando oltretutto gli oceani dall’acidificazione. O ancora l’aggiunta di fosforo e azoto per stimolare la fotosintesi del plancton.

Per quanto riguarda il suolo, invece, secondo la il report della FAO “State of knowledge of Soil biodiversity” (2020) sarebbe in grado di sequestrare più anidride carbonica di quella contenuta nell’atmosfera e nella vegetazione messe insieme. Ma per farlo deve contenere molta sostanza organica. L’agricoltura e in particolare la sua versione green, l’agroecologia, ha perciò in quest’ambito un ruolo chiave per contribuire a contrastare il cambiamento climatico.

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